Posts Tagged ‘cristina zagaria’

[racconti in sala d’attesa]

3 luglio 2014

 

Racconti in sala d’attesa

In attesa. Sei fermo. Come chiuso in una scatola, senza poterti muovere, al massimo puoi fare qualche passo avanti e indietro. […] In attesa. Di una buona notizia o di una brutta notizia e comunque impaziente. In attesa del tuo turno annoiato, preoccupato, indifferente. In attesa il tempo si dilata. […] Lo diciamo sempre: “Mi piacerebbe leggere, ma non ho mai tempo”. Sfruttiamo le attese, le attese alla fermata del bus, dal medico, in posta, in ospedale. Le sale d’attesa sono non-luoghi: non accade niente, non si può far niente se non aspettare il proprio turno. Il tempo a disposizione diventa tempo nemico. Le sale d’aspetto degli ospedali tra tutte sono le più solitarie: cariche di tensioni, pensieri, preoccupazioni. Questa raccolta di racconti nasce proprio in ospedale. L’ultimo posto dove uno si aspetterebbe di trovare dei racconti.
“Ei, Ita, che fai?” Vincenzo digita l’sms sul cellulare.
“Ciao Vincio, sono al lavoro.” Margherita, sua sorella, risponde veloce.
“io sono in ospedale. In attesa del mio turno di chemio. Mi annoio, anzi no, la verità è che vengo assalito da pensieri terribili”.
“Eh, già”.
“Ti racconto una storia?”
“Sì se ci fosse un libro in questa sala leggerei e riuscirei a non penare. Ma un libro non c’è, dai raccontami una storia”.
Vincenzo Federico è morto il 6 gennaio 2012. Tumore al cervello. […]
Scriveva sul suo blog: “Ecco, un anno fa il mondo si dischiudeva dinanzi a me, e tutto mi è apparso nitido davanti, e da allora mi sembra di vedere il mondo filtrato da una lente che elimina orpelli e superficialità lasciando solo il cuore delle cose, scoperto, inerme e vulnerabile e nel contempo sfuggente all’osservatore casuale. Momenti che non saprei descrivere altro che come essenziali, nell’eccezione privativa, sinonimo di semplice”.
Ed ecco questa antologia, un libro “semplice”, un libro “essenziale”, nato da quello scambio di sms. Un libro che vuole eliminare gli orpelli e andare dritto al cuore.
Due fratelli cercano di ingannare l’attesa e si raccontano una storia, come fa la mamma con il suo bambino prima di andare a nanna, come può fare solo una sorella, che vuole disperatamente aiutare suo fratello a non pensare a tutte le cose terribili che invadono la testa quando si è in attesa di un ciclo di chemio.
L’obiettivo è portare gratuitamente questo libro in tutte le sale d’attesa e le corsie degli ospedali italiani, per i pazienti che devono affrontare cure impegnative, ma anche per i parenti e gli amici, che li accompagnano e aspettano con loro, accanto a loro, e per gli infermieri, i medici, i volontari, le associazioni, il personale amministrativo.
Un progetto reso possibile grazie a una squadra di scrittori e a un lavoro lungo un anno. Elisabetta Bucciarelli, Luigi Romolo Carrino, Maurizio de Giovanni, Patrick Fogli, Gabriella Genisi, Andrej Longo, Giuseppe Lupo, Emilia Marasco, Marco Marsullo, Antonio Paolacci, Patrizia Rinaldi hanno scritto un racconto gratuitamente. Hanno lavorato con passione e dedizione, fra i mille impegni quotidiani. Tutti hanno accettato la sfida, come lo ha fatto la casa editrice, che in un’Italia dove l’editoria è sempre più in crisi, ha scelto di pubblicare un’antologia dedicata a chi ha bisogno di aggrapparsi a un racconto per vincere il tempo. gli scrittori hanno raccontato delle storie per lenire paure, distrarre pensieri, ingannare il tempo. Storie piccole, storie di coraggio, amicizia, manie quotidiane, amore. Storie per non sentirsi soli, e per non avere paura, proprio come quando eravamo bambini. Storie che, raccolte in un’antologia come questa, diventano un esperimento d’amore…per chi scrive e per chi legge.
Cristina Zagaria – dall’introduzione a Racconti in sala d’attesa, Caracò Editore

____

A tutti noi è capitato di sostare nelle sale d’attesa di un ospedale, accompagnando amici o parenti, o per problemi personali. Nell’ultimo anno è capitato anche  me. E sono d’accordo con la curatrice del libro quando afferma che queste sale d’attesa sono non-luoghi. Io ne ho frequentati molti di questi non-luoghi, in attesa di conoscere la mia diagnosi e per le cure chemioterapiche. Poi è arrivato questo libro che mi ha resa davvero felice. Un progetto molto impegnativo ma che sta dando i suoi frutti. Molti ospedali italiani hanno aderito a questo progetto e altri chiedono di poter partecipare. E questo è davvero un bene immenso. Dare sollievo a chi è in difficoltà è un dono d’amore e questo libro è un dono. Per tutti. C’è così tanto bisogno di umanità e cumprensione.

Qui il blog del libro se volete approfondire e conoscere il Progetto.

___

Io ho scritto un brevissimo raccontino di quello che è stata la mia esperienza. Ve lo lascio qui se volete leggerlo. Se non siete ancora stanchi…

___

 

[ diagnosi di un’ attesa ]

Le sale d’attesa. Ne aveva frequentate tante negli ultimi tre mesi. Da giugno era tutto un avvicendarsi di appuntamenti per esami e visite, da quando il dolore le aveva bloccato la schiena e si cercava la causa. Gli ospedali non erano nelle sue corde, anzi, li detestava. Gli odori, i colori e ogni cosa le ricordava il suo passato, quando, bambina accompagnava la sua mamma nella cura del papà. Ed ora eccola lì, seduta su una poltrona scomoda ad aspettare il suo turno per l’ennesimo esame.  Non aveva mai fatto caso a quanto fossero squallide e poco accoglienti le sale d’attesa, non si era mai soffermata a guardare con occhi che sanno vedere, forse perché le occasioni erano sempre state poche e mai così prolungate nel tempo. Ciò che colpiva il suo sguardo erano di solito le pareti spoglie, unico arredamento gli avvisi in bacheca e opuscoli informativi sui servizi dell’ospedale. Mancava il senso dell’accoglienza, a trecentosessanta gradi. Spesso anche il personale infermieristico non riusciva a dare quel sollievo necessario a chi, trovandosi in una situazione così delicata come l’oncologia, ne ha bisogno. Lei si chiedeva come fosse possibile. Aveva sempre pensato che in ogni struttura ospedaliera ci fossero sentimenti di accoglienza e bene verso chi soffre, ma non era così. Insensibilità all’altrui dolore? Un modo per distaccarsi dal paziente non lasciandosi coinvolgere? Non avrebbe saputo dare una risposta certa, forse entrambe le cose o forse, semplicemente, funzionava così. Di certo questo atteggiamento non le piaceva, le faceva male. Chi soffre, chi è in ansia, chi è in attesa di conoscere una diagnosi negativa ha diritto ad un sorriso, ad una parola di consolazione, anche silenziosa. Le era capitato di assistere anche a furiosi battibecchi tra parenti di pazienti e medici, la qual cosa era ancora più preoccupante di tutte le altre messe insieme. Lei osservava tutto e registrava ogni minimo palpito. Perlopiù rimaneva in silenzio. C’era invece chi sentiva il bisogno di raccontare la sua storia personale, il motivo per cui si trovava lì, proprio in quella sala d’attesa. Spesso erano fiumi in piena desiderosi di sfogarsi con qualcuno. Molte volte i particolari delle storie erano intimi eppure non si preoccupavano di filtrare parole e frasi. Qualche volta era imbarazzante ascoltare, soprattutto perché lei era molto riservata, non le piaceva confidarsi con gli estranei, figuriamoci, faticava a raccontarlo alle persone care…nessuno ancora sapeva dei controlli nella cerchia dei parenti e degli amici. In casa si era deciso di aspettare la certezza, di avere la conferma definitiva per non allarmare inutilmente, visto che l’ipotesi che si affacciava era molto “pesante”. Lei ancora non voleva crederci, non voleva accettare che da un semplice mal di schiena si era aperto quasi un baratro che la stava inghiottendo come un piccolo sassolino spezzato. L’ultimo appuntamento era confermato ed era appena arrivata nell’ennesima struttura ospedaliera. Nuovissima ed immensa, mai frequentata prima d’ora. Lì, ma ancora non sapeva, avrebbe trovato il luogo in cui curarsi e trovato un ambiente completamente diverso da quelli fino ad ora visti e vissuti. Ci era arrivata grazie ad un medico che conosceva bene il reparto oncologia, le aveva assicurato medici qualificati e personale preparatissimo. Lei si fidava, voleva fidarsi, voleva sperare ancora di poter trovare quell’accoglienza che fin lì le era mancata, soprattutto voleva una diagnosi favorevole, non voleva accettare di essere malata. Appena entrata nella grande hall, sì perché l’aspetto era proprio quello, la hall di un albergo, ebbe la sensazione che qualcosa di differente ci poteva essere. Non sembrava un ospedale, appunto, e i visi incontrati erano aperti e quasi sorridenti. Un ambiente confortevole, luminoso e pulito. Cercò subito il reparto perché si era accorta di essere leggermente in ritardo. Fu molto semplice, anche le indicazioni hanno il loro peso in un ambiente che non conosci e lì erano molto chiare. Quando mise piede nella sala d’aspetto non voleva credere ai suoi occhi!!!! C’erano piante verdi rigogliose e fiorite, ampie poltrone comode, ma soprattutto c’erano i libri. Una sala d’aspetto con i libri e riviste di cultura per rendere l’attesa molto meno difficile ai pazienti che sostano per ore. Incredibilmente vero, tutti libri donati, una biblioteca gestita da volontari. E sentì subito il suono dell’accoglienza, il sorriso dell’infermiera che la faceva accomodare in attesa fu benefico e spezzò per un po’ di tempo l’ansia dell’attesa. Ancora non sapeva che quel reparto sarebbe stato “casa sua” per lunghissimi mesi a venire. Mesi di cure che sarebbero state anche dolorose da sostenere. Quando fu il suo turno di visita e conobbe il medico che l’avrebbe poi seguita passo passo fu certa di aver trovato ciò che cercava. Cum-prensione e cura vanno di pari passo. La cura della malattia che avrebbe trovato conferma nell’ipotesi, sarebbe stata molto lunga. Si cura il corpo ma anche l’anima e lì, in quel reparto sentì che sarebbe stato possibile, ne ebbe la certezza. Anche nei momenti peggiori, nei più difficili non mancarono parole e sostegno. E soprattutto non mancarono mai i libri, la sua compagnia, la compagnia di tanti pazienti nel cammino della cura.

Lu